Amelia - Un racconto
Attraverso l’amore tutti diventato
persone migliori…
Lo diceva sempre la mia cara mamma.
Pensò Oreste sorridendo tra sé e sé.
E quanto aveva ragione.
Seduto sull'autobus, stanco dopo una
lunga giornata di lavoro, pregustava il rientro a casa e la sua
Amelia che lo aspettava.
Amelia: quasi non ci sperava più
Oreste di incontrarla, di trovare la donna giusta. Qualcuna che gli
piaceva davvero l'aveva conosciuta, ma quando venivano a sapere il
lavoro che faceva si intentavano scuse su scuse e sparivano. Invece
Amelia era rimasta. Diceva che un lavoro vale l'altro.
I primi mesi di matrimonio erano stati
fantastici, poi era iniziato qualche screzio. Ma l'amore aveva
appianato tutto. Basta volerlo e si sistema ogni cosa.
Le porte dell'autobus si aprirono ed
entrarono numerose persone. Di fronte a Oreste si fermò una vecchina
carica di sporte.
«Signora, prego, si sieda» disse
Oreste lasciandole il posto.
«Com'è gentile lei» ringraziò la
vecchina «ce ne fossero di uomini così!»
Oreste, aggrappato per mantenersi in
equilibrio, sorrise alla donna e si crogiolò un po'
nell'autocompiacimento. Quando arrivo a casa lo racconto ad Amelia.
Si disse.
Amelia. Il sorriso gli si spense sulle
labbra al ricordo di quel maledetto giorno.
Lui come al solito era rientrato a casa
dal lavoro e lei era lì ad aspettarlo furiosa. Con la valigia in
mano. Non voleva sentire ragioni. Era determinata ad andarsene e non
tornare più perché con un individuo del genere lei non aveva niente
a che spartire. Aveva scoperto cosa teneva in cantina, nel suo
laboratorio. Lui cercò di spiegarle che era un hobby, che in fondo
non faceva male a nessuno. Amelia era irremovibile.
Si era sentito perso, Oreste. E
disperato.
Ma attraverso l’amore tutti diventato
persone migliori… E così fu anche quella volta.
Bastava fermarla. Farla ragionare.
Capita a tutti di avere dei momenti in cui si vede nero.
Oreste la fermò. Le parlò a lungo con
calma. Amelia improvvisamente perse tutta la rabbia che l'animava e
rimase lì.
E non se n'è più andata. Pensò
Oreste che aveva ritrovato il sorriso. Più, più, più.
Abbandonò le proprie riflessioni e si
concentrò sul percorso dell'autobus per capire dove si trovavano. La
prossima fermata sarebbe stata la sua.
Salutò l'autista e scese
fischiettando. Con passo rapido si avviò verso casa. Gli era passata
persino la stanchezza.
Mentre girava le chiavi nella serratura
stava già salutando la moglie.
«Amelia, sono a casa!»
La trovò al solito sulla poltrona del
piccolo salottino.
«Ciao cara, tutto bene? Hai passato
una buona giornata?»
Lei non rispose.
«Al lavoro oggi è stato un delirio»
continuò Oreste imperterrito « quattro, ben quattro salme a cui
fare il trattamento. Non ti dico la stanchezza quando ho terminato
con l'ultima. E poi questa moda dell'imbalsamazione... Tanto quando
sei sottoterra chi se ne accorge se non ti decomponi? Però per me è
un vantaggio. Un imbalsamatore bravo come il sottoscritto dove lo
trovi? Me lo ha detto anche il titolare delle pompe funebri. Ha detto
che è contentissimo del mio lavoro!»
Le si avvicinò e le posò una carezza
delicata sui capelli. Lei rimase ferma.
«Però lo sai che sono un
perfezionista» continuò «e c'è una cosa che ancora non mi riesce
benissimo, che non mi soddisfa in pieno. È
l'espressione del viso: quando compongo e tratto la salma mi viene un
bel viso rilassato, vagamente sorridente, come se stesse dormendo e
sognando qualche cosa di bello. Ma via via che passano i giorni
all'imbalsamato si deforma l'espressione fino a che il viso si blocca
in quel sorriso forzato, da clown. Devo studiare e capire come posso
migliorare questo difetto. Dopo cena scendo in cantina, nel
laboratorio e ci lavoro un po' su. Che ne dici?»
Amelia, ancora silenziosa, lo continuò
a fissare. Gli occhi di vetro. Il sorriso forzato da clown.
(Photo by Kari Shea on Unsplash)
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